
Avete letto bene, non è un errore di battitura: la parola di oggi è “sovescio”.
Il sovescio è una pratica molto antica che consiste, in sintesi, nel seminare, in alternanza con la coltura da reddito, una specie per fini non produttivi, al fine di incorporarla nel terreno.
Le colture di “copertura” che si usano nella pratica del sovescio si seminano quindi non per ricavarne un raccolto, ma per nutrire il suolo.
Attraverso l’incorporazione nel suolo, si inducono una serie di apporti: sostanza organica, di azoto (nel caso delle leguminose) i più frequenti.
Ma anche protezione dalla pioggia battente quando le colture di copertura sono in piedi.
Nel caso dei terreni di Montecatini Val di Cecina ci sono state diverse variabili alla tecnica del sovescio che ho dovuto prendere in conto: chiaramente l’epoca di semina, la scelta delle specie, se seminare una sola specie o un miscuglio, la tecnica di semina, e la tecnica prevista di incorporazione nel suolo.
Dato che tutte le colture da reddito senza glutine che faccio per Biopuntozero sono da seminare in primavera (quinoa, canapa, grano saraceno, ceci, sorgo e amaranto).
Di conseguenza ho seminato tutti i sovesci in autunno, per essere incorporati a primavera prima, appunto, delle semine principali.
Le colture da copertura e quella da reddito non possono infatti, eccetto alcuni casi in cui si parla di “consociazione”, co-esistere nello stesso periodo dell’anno.
Sulla scelta della specie alla fine, dopo lunghe riflessioni, ho scelto di differenziare le parcelle.
Nella maggior parte dei campi ho seminato un miscuglio di avena e trifoglio incarnato: il trifoglio fissa l’azoto e tende a soffocare le malerbe, mentre l’avena apporta biomassa.
In una parcella, più piccola, c’è solo avena: col raccolto a luglio 2019 così avrò un po’ di seme per il futuro, e potrò vendere il resto (sì, anche l’avena è naturalmente senza glutine! Ma ne parleremo in un prossimo post).
Sugli ultimi due ettari ho seminato la senape bianca: appartenente alla famiglia delle Brassicacee, è un coltura che porta biomassa e ripulisce il terreno da nematodi dannosi (si parla di “biofumigazione”).
Inoltre, la senape bianca ha il vantaggio di morire con i primi freddi intensi, e questo ne facilita la gestione per l’incorporazione.
Si, perché, alla fine poi queste colture da sovescio, come dicevamo all’inizio, vanno incorporate per nutrire il terreno! Come fare?
Per la senape, abbiamo detto, ci pensa la natura a farla morire: però poi va incorporato…
L’avena e il trifoglio, invece, a meno di inverni particolarmente avversi, sopravvivono fino a primavera.
Devono quindi essere “terminati” e incorporati al suolo.
Insomma, a primavera, i campi sono pieni di verde, ed è presto il tempo di seminare!
Allora, le soluzioni praticabili per Biopuntozero sono tre, forse quattro, eccole in ordine dalla più semplice alla più complicata:
– Sfalciare tutto, e aspettare che i residui dello sfalcio si decompongano prima di seminare. Questo è il più semplice dei metodi, ma è praticamente inutilizzabile nel mio caso, poiché la naturale decomposizione procede troppo lentamente.
– Interrare con il frangizolle: questo è il più metodo più comunemente usato. Le piante vengono sradicate dall’attrezzo, e triturate assieme al suolo. Questo assicura una buona e rapida decomposizione. Lascia però il suolo “nudo” nell’attesa di essere ri-seminato.
– Passare con un rullo allettatore, detto “roller crimper”: è un rullo a coltelli che, oltre ad appiattire le piante, le ferisce anche in più punti, aumentando le probabilità che non ricaccino. Questo metodo ha il vantaggio di lasciare il suolo coperto, rallentando quindi le infestanti, e di non smuoverlo.
I tempi di decomposizione possono essere variabili, ma la principale conseguenza è che a seguito dell’utilizzo del rullo è necessario seminare su sodo.
– Pascolamento: Il trifoglio ad esempio è molto appetito come pascolo (la senape no, per dire). A prima vista, si direbbe la soluzione ideale: niente costi di terminazione, gli animali fertilizzano il terreno con le loro deiezioni, quindi niente costi di letamazione, e interrano i residui con le zampe. Tutto vero, in teoria.
Nella pratica, bisogna stare molto attenti. E’ necessario innanzitutto confinare gli animali in una specifica area di pascolo, in modo che non “mangino” anche ciò che non devono.
Il pascolamento deve avvenire quando il terreno non è troppo umido, altrimenti il calpestio degli animali provoca danni.
Questa del pascolamento è una possibilità che attualmente non è fattibile, ma sulla quale sto ragionando, magari già l’anno prossimo faremo una prova con il mio vicino allevatore di pecore.
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