
Siamo abituati a considerarlo un elemento inerte, una specie di arredamento del paesaggio, un mero supporto, quando è in realtà la base fondante di tutto ciò che mangiamo.
Sembrerà un discorso terra terra, ma avete mai pensato all’importanza del suolo?
Sarà chiaro a tutti che un suolo sano vuol dire cibo sano, e quindi persone più sane: il contenuto di nutrienti del suolo (la sua fertilità) influisce direttamente sulle piante che ci vivono sopra.
Ma nel dettaglio, cosa vuol dire un suolo sano? Semplicemente che non è inquinato? Chiaramente questo è un requisito fondamentale, ma allora tutti i suoli non inquinati dovrebbero essere sani, mentre non è esattamente così: in breve, potremmo dire che un suolo sano è prima di tutto un suolo vivo.
Si stima (dati FAO) che un quarto della biodiversità presente sul nostro pianeta sia custodita dal suolo: ci sono più organismi viventi in un cucchiaino di terra che esseri umani nella popolazione mondiale!
La vitalità del suolo, ovvero la presenza di tutti quegli organismi viventi (batteri, funghi, micorrize, lombrichi, insetti e chi più ne ha più ne metta) è legata principalmente alla quantità di sostanza organica, che possiamo sommariamente definire come la quantità di carbonio organico nel suolo (anche se in realtà è composta da molti altri elementi chimici).
Il fondamento attorno al quale ruotano le pratiche dell’agroecologia e dell’agricoltura biologica è l’aumento della sostanza organica nel suolo, perché essa provvede ad un tipo di fertilità che si potrebbe definire a lungo termine e circolare.
Gli apporti aggiunti quest’anno, grazie al ciclo della vita dei microrganismi (che sono tanti, e sono vivi) e delle colture di copertura, tema di cui parleremo più avanti, si può sommare piano piano a quella residua dell’anno scorso e così via. La fertilità è un qualcosa che si può costruire quindi nel tempo.
Questo concetto è spiegato nel grafico realizzato da Soil Atlas 2015, scaricabile qui
https://www.boell.de/en/2015/01/07/soil-atlas-facts-and-figures-about-earth-land-and-fields
Nell’agricoltura fondata sui fertilizzanti chimici, la fertilità non è un ciclo, ma un sistema lineare (in cui gli input provengono tra l’altro da fonti fossili e non rinnovabili come il petrolio le miniere di fosfati) col risultato che i suoli coltivati in modo intensivo sono generalmente impoveriti (a volte anche gravemente) di sostanza organica.
Oltre a provvedere alla fertilità del suolo, la sostanza organica ha anche caratteristiche fisiche estremamente interessanti, come ad esempio la capacità di ritenzione idrica.
Si comporta in pratica come una spugna, assorbendo gli eccessi di acqua (durante gli eventi piovosi), riducendo quindi l’erosione del suolo e rallentando la velocità di scorrimento lungo i pendii, per poi rilasciarla in modo graduale e compatibile con la vita delle piante.
Inoltre, la sostanza organica immagazzina la CO2 atmosferica in modo stabile: un suolo che vede aumentare la propria percentuale di sostanza organica è quindi anche un suolo che contribuisce a ridurre i gas a effetto serra, responsabili del cambiamento climatico in atto.
La sostanza organica nel suolo è il risultato della frammentazione, rimescolamento, degradazione e decomposizione di tutto ciò che al suolo viene messo o lasciato: principalmente le deiezioni animali, i residui vegetali come le foglie e le radici.
Nel caso dell’agricoltura, questi apporti avvengono con le letamazioni, (com’è noto “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” cit.), gli interramenti dei residui colturali e i sovesci.
Come si vede nel bellissimo video realizzato dal Micropolitan Museum, tutto questo scarto materiale scatena una grandissima attività, dovuta in prima battuta a tutta la fauna presente nel suolo.
Successivamente arrivano orde di lombrichi, microrganismi come i batteri, i funghi e le micorrize, che con le piante stabiliscono relazioni speciali, a mangiarsi tutta questa abbondanza, facendo contemporaneamente un lavoro utilissimo all’agricoltura, quello di scavare buchi e molto altro!…Ne parliamo al prossimo post!
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